Antonio Javier Sutil mostra in questo articolo i dati più rilevanti dello studio “La malattia di Alzheimer come costrutto clinico-biologico: raccomandazione di un gruppo di lavoro internazionale”.
Modifica dei criteri diagnostici per l’Alzheimer
Recentemente, dall’Associazione Alzheimer, è stata proposta la modifica dei criteri diagnostici per l’Alzheimer affinché si basino esclusivamente su evidenze biologiche. Questo implicherebbe la possibilità di diagnosticare la malattia di Alzheimer (AD) in persone cognitivamente sane che presentano biomarcatori. Ciò potrebbe avere un grande impatto sulla società, poiché, allo stesso tempo, questi nuovi criteri proposti non sono raccomandati per persone cognitivamente sane, ponendo nuove e importanti questioni da risolvere.
Da un lato, ciò avrebbe un grande impatto negli ambienti di ricerca. Le evidenze sui biomarcatori associati sono aumentate nelle ultime decadi, permettendo un cambiamento di paradigma dalla ricerca post mortem alla possibilità di studiare l’evoluzione della malattia nelle sue fasi iniziali. Questo cambiamento ha favorito non solo un incremento della ricerca osservazionale, ma anche degli studi clinici, consentendo un monitoraggio dinamico in vivo.
Tuttavia, ciò avrebbe anche un impatto negli ambienti clinici, dove l’uso dei biomarcatori è considerato particolarmente rilevante, poiché si prevede che questi forniscano informazioni sulla lesione patologica o sul processo neurodegenerativo.
Biomarcatori nella malattia di Alzheimer
Tuttavia, i cosiddetti biomarcatori principali non sarebbero sufficienti da soli per spiegare tutti i meccanismi sottostanti alla malattia. In particolare, negli ambienti clinici, biomarcatori come tau o amiloide servirebbero come supporto o confutazione di un sospetto clinico di diagnosi. Questo a causa dell’eterogeneità dei casi.
Ad esempio, sono stati documentati studi post mortem in cui il cervello dell’individuo presenta lesioni, ma questi non aveva subito declino cognitivo o funzionale in vita. Inoltre, a causa della prevalenza di comorbilità tra patologie neurodegenerative, la rilevazione di nuovi biomarcatori potrebbe confondere invece di chiarire. Questo accade perché, secondo la logica dei nuovi criteri stabiliti, è probabile che tali biomarcatori conducano a una diagnosi di più malattie neurodegenerative simultaneamente in una persona cognitivamente normale.
In questo lavoro si sostiene che l’influenza dei biomarcatori dipenda dal contesto, poiché questi, da soli, non possono determinare la malattia. Si suggerisce che il contributo dei biomarcatori debba essere integrato con la prospettiva clinica, specialmente per valutare se gli individui presentano o meno un declino cognitivo.
Di conseguenza, ciò che si propone in questo lavoro rivisto è di riconsiderare la definizione suggerita dall’Associazione Alzheimer. Inoltre, si offre una definizione alternativa basata su un costrutto clinico-biologico che cerca di adattarsi in modo più preciso alle evidenze esistenti sui biomarcatori.
I casi possibili
Per poter affrontare in modo più preciso la prospettiva qui difesa, si partirà dai tre possibili casi in cui sono stati rilevati biomarcatori positivi e come si raccomanda di interpretare ciascuna situazione.
Asintomatico a rischio di malattia di Alzheimer (REA)
Si riferisce a individui cognitivamente normali che presentano un rischio di sviluppare declino cognitivo a causa di un profilo specifico di biomarcatori. Questo rischio di progressione è maggiore rispetto agli individui senza biomarcatori. Questo caso non sarebbe considerato Alzheimer, poiché non indica necessariamente una progressione futura.
Profilo di biomarcatori associati: amiloidosi cerebrale, isolata o associata a tauopatia limitata alle regioni temporali mediali, o un biomarcatore positivo di tau fosforilata (p-tau) nei fluidi.
Alzheimer presintomatico (AP)
Si riferisce a individui cognitivamente normali che presentano un modello specifico di biomarcatori associato a un rischio di progressione molto elevato, quasi deterministico. Questo sottogruppo potrebbe essere ridefinito in seguito a studi futuri che identificano nuovi biomarcatori.
Esempi di profili di biomarcatori associati a questo caso sono:
- Varianti genetiche autosomiche dominanti altamente penetranti, con un rischio vicino al 100% di sviluppare la malattia di Alzheimer clinica nel corso della vita: APP, PSEN1, PSEN2.
- Persone con sindrome di Down.
- Individui omozigoti per l’allele APOE e4 insieme alla perdita di funzione di SORL1. In questi profili, l’età e l’età parentale sono fattori aggiuntivi da considerare per determinare l’età di insorgenza dell’espressione clinica dell’Alzheimer.
- Cambiamenti nei biomarcatori dell’Alzheimer sporadico (± storia genetica) associati a un rischio di vita molto elevato di Alzheimer clinico, come la combinazione di PET amiloide positivo e PET tau positivo in regioni neocorticali.
Malattia di Alzheimer (AD)
Si riferisce a individui con deterioramento cognitivo che soddisfano criteri stabiliti, potendo trovarsi in una fase con perdita di funzionalità (demenza) o in una fase prodromica in cui non si è persa la funzionalità.
I criteri stabiliti sono:
- Fenotipi clinici specifici: comuni (sindrome amnesica di tipo ippocampale, afasia logopenica, atrofia corticale posteriore) o meno comuni (sindrome corticobasale, varianti comportamentali e dis-esecutive).
- Biomarcatori patofisiologici positivi di AD nel liquido cerebrospinale o PET. I biomarcatori plasmatici, come il p-tau 217, potrebbero presto far parte della valutazione clinica di routine.
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Tabella riassuntiva delle differenze tra le due proposte
Associazione Alzheimer | International Working Group | |
Definizione di malattia di Alzheimer | Basata sulla biologia. | Basata su criteri clinici e biologici. |
Diagnosi clinica | Richiede la presenza di un biomarcatore fondamentale. | Richiede biomarcatore e presenza oggettiva di deficit cognitivo. |
Esempio | Una persona con cognizione normale e biomarcatore fondamentale sarà diagnosticata come AD. | Una persona con cognizione normale e biomarcatore fondamentale sarà considerata a rischio di AD. |
La spiegazione per questa classificazione si basa sulla patofisiologia della cascata amiloide. Questo è un modello probabilistico che postula diversi livelli di influenza in base al gene APOEε4 insieme ad altri fattori ambientali e patologici.
In questo modello, i portatori di questo gene sarebbero identificati come individui a rischio e si suggerisce che la progressione verso il deterioramento cognitivo sia correlata agli altri fattori menzionati. Questi individui a rischio dovrebbero essere seguiti in coorti longitudinali per identificare fattori che possano modulare la progressione verso la demenza. D’altro canto, si potrebbero identificare individui già avviati verso la demenza.
Effetto sulla società
I criteri diagnostici per l’Alzheimer basati sui biomarcatori potrebbero avere un grande impatto a livello sociale, politico ed economico. Questo lavoro sostiene una visione clinico-biologica, poiché considerare i biomarcatori positivi come malattia di Alzheimer o come asintomatici a rischio influirà sulle strategie di gestione adottate dalle istituzioni e dagli individui. La narrativa generata attorno alla comunicazione di questi risultati sarà fondamentale per l’esperienza del paziente.
Una persona cognitivamente normale con biomarcatori positivi per amiloide potrebbe essere interpretata come malata, mentre questi individui a rischio potrebbero non sviluppare mai un deterioramento cognitivo.
Un chiaro esempio si vede nell’assunzione di farmaci. Ad esempio, un individuo che inizia a prendere gantenerumab, un farmaco progettato per eliminare l’amiloide, ma la cui efficacia clinica non è stata dimostrata.
Sarebbe vantaggioso per questo individuo ricevere farmaci per anni senza certezza di progressione, o senza evidenza che il farmaco abbia effetti sugli aspetti cognitivi e comportamentali?
Inoltre, bisogna considerare il potenziale errore diagnostico, poiché i biomarcatori proteici, come in questo caso, non offrono una distinzione deterministica come quelli genetici, bensì probabilistica. Questo è particolarmente rilevante pensando che potrebbe portare a differenze significative tra regioni come Nord America ed Europa.
Un esempio dell’impatto sarebbe la diagnosi di un paziente che si rivolge al medico con lamentele benigne sulla memoria dovute ad altri disturbi o all’età e che, con biomarcatori positivi, rappresenterebbe un falso positivo. Questo rischio aumenterebbe se i test fossero commercializzati direttamente al consumatore senza l’intervento di un medico, portando probabilmente a un aumento delle diagnosi in persone cognitivamente normali e, di conseguenza, a un maggiore consumo di farmaci per prevenire il deterioramento cognitivo.
I criteri dell’Associazione Alzheimer non supportano l’uso dei biomarcatori in persone cognitivamente normali, ma è irrealistico controllare l’accesso alla diagnosi di Alzheimer e al trattamento se si basa esclusivamente sui biomarcatori secondo tali criteri. Pertanto, sarebbe necessario fornire un messaggio più chiaro su questo tema.
Conclusioni e rilevanza
Il International Working Group sostiene la definizione della malattia di Alzheimer come una entità clinico-biologica. La diagnosi clinica di Alzheimer viene effettuata in presenza di un fenotipo clinico stabilito e biomarcatori fisiopatologici che indicano patologia della malattia di Alzheimer (AD), comprendendo sia le fasi prodromiche (precedenti alla demenza) sia le fasi di demenza, in quanto queste fasi farebbero parte del continuum della stessa malattia.
L’International Working Group sconsiglia l’uso dei biomarcatori per diagnosticare l’Alzheimer in persone cognitivamente normali, anche in presenza di lamentele soggettive. Invece, si suggerisce che questi biomarcatori vengano utilizzati nella ricerca per valutare rischi futuri, comunicare tali rischi e implementare strategie preventive.
Lo studio di persone cognitivamente normali con biomarcatori positivi è fondamentale per sviluppare algoritmi predittivi e determinare i rischi di progressione. Da questo punto di vista, solo un gruppo ristretto sarebbe considerato presintomatico per varianti genetiche o profili di biomarcatori ad alto rischio, mentre il resto dovrebbe essere classificato come asintomatici a rischio.
Le ricerche future devono concentrarsi su persone cognitivamente normali:
- Da un lato, conducendo studi osservazionali longitudinali per analizzare simultaneamente biomarcatori e fattori di rischio associati allo stile di vita.
- Dall’altro, realizzando studi clinici di intervento per valutare l’efficacia di trattamenti farmacologici e altre strategie mirate alla malattia di Alzheimer.
Autori
Questo lavoro è il risultato di uno sforzo collaborativo internazionale di oltre 40 autori. Tra questi, spicca il primo autore, Bruno Dubois, professore del dipartimento di Neurologia dell’Ospedale Salpêtrière e dell’Università Sorbonne di Parigi. Attualmente è ricercatore associato del gruppo FrontLab del Paris Brain Institute, dove aveva precedentemente lavorato come ricercatore principale. Il gruppo FrontLab si dedica allo studio della corteccia prefrontale come area critica per le funzioni cognitive superiori in condizioni di salute e malattia. Inoltre, il professor Dubois ha pubblicato numerosi studi sulle malattie sottocorticali e sulla demenza ed è uno degli organizzatori del consenso di esperti che lavorano sui nuovi criteri diagnostici della malattia di Alzheimer.
Bibliografia
- Dubois B, Villain N, Schneider L, et al. Alzheimer Disease as a Clinical-Biological Construct—An International Working Group Recommendation. JAMA Neurol. Published online November 01, 2024. doi:10.1001/jamaneurol.2024.3770
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